L’alimentazione fu un grande problema sia per la popolazione
civile sia per quella militare, in quanto le battaglie, la militarizzazione del
territorio e le razzie devastarono i raccolti e svuotarono i magazzini.
In guerra i pasti venivano cucinati nelle retrovie e trasportati a
spalla o tramite asini, di notte, verso le linee avanzate. Si cucinava con
fornelletti alimentati a paraffina e qualunque cosa fungeva da contenitore,
come gavette, elmetti e scatole di munizioni. Inizialmente i soldati non
avevano le scatolette, per questo usavano un metodo di conservazione detto
“appertizzazione”, il quale consisteva nel sigillare dei grandi vasi di vetro
con acqua bollente. Il cibo lasciava molto a desiderare: il pane era duro come
la pietra, la pasta ed il riso sembravano colla e il brodo era gelatina.
Prima degli assalti ai soldati venivano distribuiti anche
gallette, cioccolato e liquori.
“C’ est la soupe qui fait le soldat” diceva Napoleone, in quanto l’alimentazione
era importante come l’addestramento. Il cibo era una delle poche consolazioni
dei soldati e assunse quindi importanza psicologica, influenzando decisamente
la loro efficacia nel combattimento.
La soluzione al problema del cibo venne escogitata da Heinrich
Grueneberg, il quale inventò l’Erbstwurst: una salsiccia con polvere di piselli e
impasto di pancetta, che poteva essere reidratata per creare una zuppa calorica
e saporita e che, tradizionalmente, viene prodotto dalla Knorr ancora oggi.
da: “Itinerarigrandeguerra.it” e
“Webfoodculture.com”
All’inizio della guerra, la razione giornaliera dei soldati consisteva in 750 g di pane, 375 di carne e 200 di pasta, più altri viveri come cioccolato, caffè e formaggio. In alta montagna si distribuivano anche lardo, pancetta e latte condensato. Nel 1916 la razione diminuì: si passò da 4085 calorie a 3000 calorie, con il pesce al posto della carne. Per tenere alto il morale dopo Caporetto, la porzione aumentò, ma mai fino ad arrivare alle 4400 calorie degli inglesi; gli Austriaci, invece, patirono la fame.
da “focus”
L'affaticamento dei soldati fu ulteriormente aggravato dalla cattiva alimentazione conseguenze alle difficoltà di approvvigionamento delle truppe operanti nelle postazioni più esposte, ma spesso causata anche da una perdita di appetito legata alla stanchezza e agli effetti del bombardamento sensoriale.
Da “La Prima Guerra Mondiale” di Antonio Gibelli
“E lo zainetto che noi portiamo è l’armadietto di noi soldà”
Nei lunghi mesi di azione gli uomini al fronte dovevano arrangiarsi con ciò che potevano permettersi, ed è per questo che iniziarono ad utilizzare i propri zaini come raccoglitori di quei pochi oggetti personali che li legavano a casa. Questo piccolo armadietto conteneva le cose più disparate: scatolette, gallette, calze, fazzoletti e avvolto intorno al sacco stava il telo-tenda. Da come i militari apparivano affardellati
si poteva intuire la loro destinazione: uno zaino striminzito preludeva ad una santa licenza in vista; uno zaino rigonfio e con telo-tenda era un chiaro segnale di partenza per il fronte.
da “Le ali dell’Angelo”
Se pensiamo al vestiario, all’equipaggiamento, all’alimentazione
di cui potevano disporre i soldati all’epoca, possiamo immaginare quale volontà, quale
coraggio e determinazione avessero questi uomini non certo comuni. Sulle pareti
ghiacciate e ripidissime, sugli sdruccioli di pietra instabili, sotto scariche
ripetute e pericolose di pietrame e talvolta sotto il fuoco o il bombardamento
nemico, essi dovevano salire portando con sé quantità imponenti di materiali
indispensabili alla sopravvivenza.
Il vestiario, il vitto, il materiale per i ricoveri, le armi, le
tende, i ramponi, le lanterne, i fili e le attrezzature telefoniche, le
munizioni, le scorte per le lunghe permanenze in condizioni di isolamento, il
combustibile, le stufette, il pentolame, i sacchi a pelo, le corde... Insomma, un
vasto campionario di oggetti perché occorreva poter disporre all'esigenza di tutto ciò che favorissele chance di sopravvivenza per lunghi giorni e notti, tra tormente e bufere di violenza impressionante che
si scatenano con il maltempo a quelle quote.
da: “Battaglia per la Trafojer” di Giuseppe Magrin e Giovanni Peretti.
Cadorna non aveva provveduto all’abbigliamento invernale per il
fronte russo, quindi molti soldati morirono di freddo o vennero salvati grazie
alle donne russe che li trovavano stremati e li portavano in salvo nelle loro
case, quindi ebbe molta importanza anche la popolazione civile, la quale, visto
il ritardo dei rifornimenti, portava i viveri ai soldati in trincea.
dal diario: “Il capitano tra i ghiacci “ di Arnaldo Berni.
Nessun commento:
Posta un commento