"Non ci sono domeniche o festività, in guerra
è sempre giorno feriale.
Bisogna muoversi anche a gennaio dopo una grande
nevicata, perché chi sta fermo troppo a lungo non sopravvive all’inverno. Per
tirare avanti bisogna trasportare la legna a spalle nei ricoveri, spalare la
neve giorno e notte, improvvisarsi minatori per sparire dentro la montagna.
La Guerra Bianca è veramente un doppio
lavoro: da una parte si costruiscono strade, teleferiche, dormitori, cucine,
camminamenti, gallerie e linee telefoniche, dall’altra parte si distruggono le
identiche opere sul fronte opposto.
La cifra di tutto è l’incessante ed
estenuante fatica degli uomini al fronte. Prima dell’angoscia, prima dell’odio,
anche prima della nostalgia viene la fatica, e bisogna vederla per rimanerne
stupiti. Le fatiche che fanno i nostri alpini non le saprebbe fare nessun
altro."
fonte: "Il fuoco e il gelo" di Enrico Camanni
"A quelle quote la rarefazione dell’ossigeno
impone sforzi molto maggiori del normale, anche solo per procedere in piano.
Inoltre, l’irradiazione solare produce ustioni e oftalmie dalle quali bisogna
proteggersi con aiuto di occhiali da neve."
"Era un inverno senza fine, assillato dalla
neve, a volte da violenti temporali con fulmini e saette che correvano lungo i
fili delle teleferiche o del telefono fino all’interno delle baracche e negli
alloggi spesso sporchi e primitivi, tra i giacigli di paglia infestati dai
pidocchi e da odori insopportabili."
"La vita dei soldati era ridotta ai bisogni
primari, senza possibilità di lavarsi, di curare il proprio corpo, di liberarsi
dal condizionamento di operazioni indispensabili alla sopravvivenza."
"Afflitti da malattie, freddo, carenza di
igiene, malnutrizione, parassiti, solo gli animi più sensibili potevano
cogliere certi aspetti di quella vita: alcuni ufficiali che disponevano di
cultura e contatti col mondo letterario, poetico e giornalistico e che
accennavano nei propri memoriali a sensazioni o a pensieri elevati, durante momenti
di relativo riposo o di licenza."
fonte: “Battaglia per la Trafojer” di Giuseppe Magrin e Giovanni Peretti.
“In trincea i ritmi di vita erano capovolti:
all'immobilità diurna si contrapponeva una febbrile attività notturna. Protetti
dal buio della notte si mangiava un rancio avvizzito e freddo, a volte
addirittura ghiacciato, e si lavorava alle corvè. Si piantavano picchetti, si
scioglievano matasse di filo spinato, si scavavano trincee, si trasportavano
casse di munizioni e di approvvigionamenti, si seppellivano i morti. Oppure si
partecipava a pericolose missioni notturne nella terra di nessuno per aprire
varchi nei reticolati, catturare prigionieri Oppure si partecipava a pericolose
missioni notturne nella terra di nessuno per aprire varchi nei reticolati,
catturare prigionieri o raccogliere informazioni sui nemici. Di giorno, invece,
si stava pigiati uno sull’altro, infreddoliti, immersi nel fango, tormentati
dai pidocchi: le condizioni igieniche erano terribili e l’aria irrespirabile,
mista come era all’odore di terra umida e polvere da sparo, di sangue e di
vomito, di sigarette e sudore, di urina ed escrementi, di lubrificanti per le
armi e cadaveri in putrefazione. Per alleviare il problema dei pidocchi e degli
altri parassiti che infestavano corpo e divise si ricorreva allo spulcia mento
reciproco, che diventava così un’occasione di fraternizzazione. (circa il 49%
proveniva dal Nord, il 23% dal Centro e il 17% dal Sud e l’11% dalle Isole)“
"Infine, se vi rimane ancora un po’ d immaginazione, provate a vedervi il
riposo dei sopravvissuti, tra cadaveri, topi e fango, o le prime medicazioni ai
feriti dilaniati o mutilati dalle esplosioni, che potevano solo sperare di
sopravvivere abbastanza per essere smistati agli ospedali da campo nelle
retrovie.”
fonte: "focus"
"I bisogni fisiologici più elementari vengono
raramente soddisfatti, mentre gli sforzi fisici richiesti agli uomini, anche al
di fuori delle fasi di combattimento sono intensi.
Lo sfasamento dei ritmi
biologici provocato dall'inversione dei ritmi sonno-veglia e l'impossibilità di
godere di una regolare alternanza tra cicli di attività e di riposo aggravano
ulteriormente l'affaticamento. Soltanto i rari periodi di riposo prolungato
nelle retrovie permettono un recupero reale.
Il fetore pestilenziale causato dalla
presenza di deiezioni umane e dai fenomeni chimici provocati dalla
decomposizione dei corpi insepolti possono spiegare questi casi di anoressia
temporanea, anche se la sete è ciò di cui i soldati si lamentavano maggiormente.
La vita al fronte impedisce appunto all'organismo di vivere secondo una
routine, riorganizzando
quell'automatismo di gesti e percezioni che non
permette di pensare al corpo."
Da "La Prima Guerra Mondiale" di
Antonio Gibelli
fonte "La Prima Guerra Mondiale" di
Antonio Gibelli