giovedì 8 dicembre 2016

Obblighi dei soldati

“Immaginate il suono di un fischietto seguito dal grido “Savoia!”. Figuratevi decine di uomini uscire dalle loro postazioni e correre per 50, 100 metri verso il nemico zigzagando tra buche, reticolati e altri ostacoli. E dietro un’ondata di rincalzi già pronta ad unirsi a loro. Se questa scena di eroismo ancora non vi commuove, pensate alla prima linea di soldati falciati dalle mitragliatrici nemiche, e poi alla seconda che si spegneva e si appiattiva sopra nuvole di filo spinato, che la pioggia di fuoco fatta precedere dall’ artiglieria aveva solo intricato ulteriormente. Forse solo il terzo manipolo di uomini, usando i cadaveri dei compagni come riparo o come ponte per raggiungere le trincee avversarie, finiva per balzarci dentro e affrontare il nemico all’arma bianca brandendo le baionette innastate sui fucili: ma dietro ogni curva di quei budelli di terra poteva anche esserci una bomba, un lanciafiamme o una trappola.”


 “A tornare sani, salvi e perdenti, poi, si rischiava di essere accusati di codardia o di ammutinamento, ed essere passati per le armi. "

















                                                                                                                 da "focus"


La logica contorta della guerra impone ai predestinati di mantenere la posizione fino all’ora dell’annientamento, senza via di scampo: 26 metri sotto il presidio del Castelletto ( Ticino) ci sono 35 tonnellate di esplosivo pronte per il sacrificio. La fuga è esclusa, equivarrebbe a diserzione. Per ironia della sorte, più gli Jäger si rintanano nella roccia a cercare protezione, più si avvicinano alla mina che li ucciderà. 


 






















                                                                                             da "il fuoco e il gelo"


Molti partirono per il fronte senza sapere bene perchè fossero mandati a combattere; altri soffocarono nel loro intimo l'avversione per una guerra da essi non voluta o non capita; altri, ancora, non ce la fecero a trattenere i loro sentimenti di rivolta politica o le loro reazioni di protesta nei confronti di uno stato di cose ritenuto a un certo punto non più tollerabile. Tant'è che furono quasi 350 mila i soldati denunciati ai tribunali militari per reati commessi durante il servizio o per il sospetto che potessero compierne.
In complesso, e al confronto di altri eserciti ben più armati e addestrati, quello italiano mostrò anzi un grado di saldezza e di vigore per tanti versi inaspettato. Tanto più quando, col prolungarsi del conflitto, anche gli alti comandi cominciarono a dubitare che si potesse continuare a garantire la necessaria compattezza delgi uomini al fronte con il pugno di ferro.























                                                            da "La Grande Guerra" di Nicola Caracciolo


Condizioni della montagna

"I combattenti di alta quota sono favoriti dal fatto che in montagna si sta male, certamente, però si spara e si muore meno che in pianura, e non si affronta l’inesorabile roulette russa degli scontri di trincea. Anche sui ghiacciai crepitano le mitragliatrici e tuonano i cannoni, ma alla fine comandano l’intuito e l’esperienza dei montanari.Le valanghe e i fulmini sono i pericoli meno preventivabili in montagna. In pace e in guerra colpiscono senza preavviso. Se in tempo di pace le valanghe fanno vittime di sciatori avventati o sfortunati, nella Guerra Bianca colpiscono soldati al lavoro, uomini che si spostano nell’unico ambiente consentito: il pendio."
  













                                           
                                                                                       da: "il fuoco e il gelo"



La Guerra Bianca si riferisce al colore di ghiaccio e neve, al biancore delle nebbie e allo sfolgorio delle vette altissime. Le difficoltà del terreno erano tali da impedire per la massima parte dell’anno la semplice vita all’aperto, tra pareti di roccia e ghiaccio, enormi crepacci, creste vertiginose e friabili, del freddo e del gelo più feroci.

 

I contendenti: alpini, Kaiserjäger, ma anche semplici fanterie resistettero e lottarono prima contro gli elementi della natura e poi anche contro il nemico, del quale avevano il rispetto, l’ammirazione e col quale talvolta scambiarono persino il poco che avevano, poiché sapevano cosa significasse essere lì, sia pure con una diversa divisa, per obbedire a quei doveri, per seguire quella sorte forzatamente condivisa.



Sulle nuove porzioni occupate occorreva garantire la praticabilità delle vie d’accesso ed eventualmente delle vie di fuga. Nella nebbia, la marcia sui ghiacciai o pendii innevati doveva essere guidata da sequenze di paletti che impedissero ai soldati di perdersi e magari di finire nei precipizi, sulle rocce e sui crepacci.



Nessuno sarà mai in grado di stabilire quante siano state le cadute mortali, quanti gli scomparsi durante i trasferimenti e le marce delle corvee, sia tra le truppe che tra le colonne di prigionieri impiegati nei trasporti, di entrambe le parti.


Talvolta la poca esperienza di alcuni comandanti aveva costretto i lavoranti a costruire ricoveri in posti assolutamente sconsigliabili: si continuava a permanere in baraccamenti che sarebbero prima o poi stati spazzati dalla violenza del turbine e dalla forza distruttrice della neve accumulatasi più in alto.




 
                                                                                   
                                                                             da "Battaglie per la Trafojer" 



"Rimane così molto tempo ai soldati per lavorare e difatti questi hanno costruito quassù un vero paese scavato e costruito nella roccia, con le comodità che relativamente si possono avere. Noi ufficiali abbiamo una salettina riscaldata per la mensa ed un'altra con delle cuccette per dormire.
Come i sodati quando non combattono fanno tutti i lavori per accrescere le comodità del luogo in cui ci troviamo, noi ufficiali dobbiamo saper dirigere questi lavori svariati."

 
















                                                                       da “Il capitano sepolto nei ghiacci”

I passatempi

"Certi giorni si rischia la pelle, altri giorni si prova a sciare se c’è neve, oppure si va a caccia di volpi e marmotte. Condividendo le condizioni climatiche estreme e i luoghi smisurati della guerra del 3000, gli italiani e gli imperiali si riconoscono simili secondo natura e avversari secondo dottrina: alleati nella tormenta, nemici nella battaglia.
"In una notte di luna d’inverno, gli ufficiali del Filon Del Mot si bardano con pastrani bianchi, prendono organetto, fisarmonica, moschetti, fiaschi di vino, e nuotando nella neve fresca avvicinano la postazione austriaca per “cantargliene una”. Gli imperiali sparano all’impazzata, mentre gli alpini intonano e stonano canti a squarciagola, cercando le note più acute e le strofe più insolenti. Anche quella è guerra di montagna, serve per ammazzare il freddo e l’attesa."
L’unico passatempo discreto è ammirare i grandiosi panorami diurni e notturni. Sarebbe bello partire in comitiva alla mattina e fare un’escursione sul monte Cristallo o altro e tornare la sera. Ma qui non si fa altro che camminare avanti e indietro per scaldarsi i piedi. Si va in esplorazione sui ghiacciai, si incontra il nemico, ci si scambia qualche fucilata, poi ognuno ritorna a  casa propria tranquillo e beato.”
L’umorismo e la scanzonatura fanno parte del codice della montagna; è un sistema efficace per esorcizzare la paura, il conflitto, la morte”
Fonte: “Il fuoco e il gelo”



Per il soldato non era previsto alcun momento di distrazione, tranne l’alcool che faceva parte del rancio e le prostitute. Furono infatti istituite nelle zone di guerra case di tolleranza gestite e controllate dalle autorità militari.”
Fonte: “Focus” 


"Per il resto ai soldati al fronte non rimane, in alcune fuggevoli pause dai combattimenti, che il rapporto mercenario in uno dei numerosi bordelli allestiti nelle retrovie dai comandanti militari. Squallide baracche in cui si guadagnano da vivere schiere di povere prostitute altrettanto dolenti, e anche angosciate dagli stessi problemi di sopravvivenza dei loro clienti.”
Fonte: “La Grande Guerra” di Nicola Caracciolo


Per passare il tempo leggo un po', un poco medito, un poco mi abbandono ai ricordi del passato. Penso a voi tante volte. Penso al giorno in cui ritorneremo uniti, al giorno in cui cesseranno le ansie vostre. Poi mi ricordo del luogo ove sono, scaccio le dolci memorie e mi reco ad ispezionare le sentinelle.”
Ora gli stiamo insegnando a cantare un poco meglio di quanto non sappia fare. Anche questo è un mezzo per passare il tempo, se qui non si bevesse e non si cantasse ci sarebbe da crepare d'inedia e di malinconia.”
Si è fatto di tutto per stare allegri, io ho cantato tutto il mio repertorio, un altro ha declamato tutte le poesie che ha imparato dalla scuola elementare in poi, un terzo ha fatto la lotta e la boxe con un quarto; abbiamo giocato alle carte, abbiamo bevuto quattro strepitose bottiglie, ci siamo fatti fare un robusto zabaione e due robusti caffè e finalmente ci siamo ritirati nei nostri gelati appartamenti.”
Ci è arrivato un cannocchiale da 40 ingrandimenti col quale possiamo osservare le posizioni nemiche comodamente, come se fossero a contatto con le nostre. Si vedono i minimi particolari, si conoscono gli individui, se parlassero una lingua più comprensibili, dai movimenti delle labbra si potrebbe comprendere qualcosa dei loro discorsi. E noi ci divertiamo ad osservarli.”
Fonte: “Il capitano sepolto nei ghiacci” di Giuseppe Magrin






La chiamata alle armi

Durante i 4 anni della Grande Guerra vennero arruolati in Italia 5'900'000 uomini, e non è difficile realizzare che quelli che davvero volevano farlo erano una piccola minoranza. A livello statistico si osserva che questa chiamata alle armi colpì più dell’80% delle famiglia italiane e che la maggior parte dei soldati di prima linea erano contadini, giovani e, forse in maggioranza, analfabeti.

La chiamata alle armi prevedeva un iter molto meccanico: documentazione, visita di leva ed arruolamento. Quando ancora l’Italia viveva il suo “tempo di pace” le famiglie dei ventenni si videro recapitate a casa alcune lettere di “cortese richiesta di sottoporsi a visita di leva”.

 Orde di baldi giovani impacchettarono quattro vestiti e un paio di scarpe e si diressero verso i capoluoghi di provincia per sottoporsi alla visita di leva. Erano richieste, più del resto, un’altezza minima di 154 cm e un giro-torace di 80 cm; si richiedeva poi un livello accettabile di agilità e l’assenza di condizione mediche di tipo psico-fisico. Una volta ottenuto il timbro di approvazione sul proprio libretto destinato a sbiadirsi i neo-soldati cominciarono ad imbastire le fila dell’esercito.
L’idea di una guerra imminente rimbombava nelle menti di quei tanti giovani italiani che lasciarono la loro vita comune per dedicarsi alla Naja (Probabilmente derivato dal veneto Te-Naja – inteso come tenaglia o morsa).


Alcuni uomini optarono per l’obiezione di coscienza ma dopo che uno di loro, il testimone di Geova Remigio Cuminetti, venne processato per vilipendio allo stato questa pratica risultò ancora più sconsigliata. Rimasero così, come unici “esclusi”, coloro che venivano diagnosti
cati come incapaci morali o fisici e, in minor parte, coloro che si appellavano al diritto allo studio o alla professione ai fini di sussistenza propria e/o familiare.



All'indirizzo http://www.cadutigrandeguerra.it/ è disponibile un portale online per la ricerca dei nominativi dei soldati italiani della Grande Guerra, tratti dai grandi registri di arruolamento e dei caduti.

tratto e adattato da:
www.ilpalio.org
www.storiacontemporanea.eu
www.valgame.eu

Il rancio e l'equipaggiamento durante la guerra

L’alimentazione fu un grande problema sia per la popolazione civile sia per quella militare, in quanto le battaglie, la militarizzazione del territorio e le razzie devastarono i raccolti e svuotarono i magazzini.
In guerra i pasti venivano cucinati nelle retrovie e trasportati a spalla o tramite asini, di notte, verso le linee avanzate. Si cucinava con fornelletti alimentati a paraffina e qualunque cosa fungeva da contenitore, come gavette, elmetti e scatole di munizioni. Inizialmente i soldati non avevano le scatolette, per questo usavano un metodo di conservazione detto “appertizzazione”, il quale consisteva nel sigillare dei grandi vasi di vetro con acqua bollente. Il cibo lasciava molto a desiderare: il pane era duro come la pietra, la pasta ed il riso sembravano colla e il brodo era gelatina.
Prima degli assalti ai soldati venivano distribuiti anche gallette, cioccolato e liquori.
“C’ est la soupe qui fait le soldat” diceva Napoleone, in quanto l’alimentazione era importante come l’addestramento. Il cibo era una delle poche consolazioni dei soldati e assunse quindi importanza psicologica, influenzando decisamente la loro efficacia nel combattimento.
La soluzione al problema del cibo venne escogitata da Heinrich Grueneberg, il quale inventò l’Erbstwurst: una salsiccia con polvere di piselli e impasto di pancetta, che poteva essere reidratata per creare una zuppa calorica e saporita e che, tradizionalmente, viene prodotto dalla Knorr ancora oggi.

da: “Itinerarigrandeguerra.it” e “Webfoodculture.com”



All’inizio della guerra, la razione giornaliera dei soldati consisteva in 750 g di pane, 375 di carne e 200 di pasta, più altri viveri come cioccolato, caffè e formaggio. In alta montagna si distribuivano anche lardo, pancetta e latte condensato. Nel 1916 la razione diminuì: si passò da 4085 calorie a 3000 calorie, con il pesce al posto della carne. Per tenere alto il morale dopo Caporetto, la porzione aumentò, ma mai fino ad arrivare alle 4400 calorie degli inglesi; gli Austriaci, invece, patirono la fame.

da “focus” 


L'affaticamento dei soldati fu ulteriormente aggravato dalla cattiva alimentazione conseguenze alle difficoltà di approvvigionamento delle truppe operanti nelle postazioni più esposte, ma spesso causata anche da una perdita di appetito legata alla stanchezza e agli effetti del bombardamento sensoriale.


Da “La Prima Guerra Mondiale” di Antonio Gibelli


“E lo zainetto che noi portiamo è l’armadietto di noi soldà”
Nei lunghi mesi di azione gli uomini al fronte dovevano arrangiarsi con ciò che potevano permettersi, ed è per questo che iniziarono ad utilizzare i propri zaini come raccoglitori di quei pochi oggetti personali che li legavano a casa. Questo piccolo armadietto conteneva le cose più disparate: scatolette, gallette, calze, fazzoletti e avvolto intorno al sacco stava il telo-tenda. Da come i militari apparivano affardellati si poteva intuire la loro destinazione: uno zaino striminzito preludeva ad una santa licenza in vista; uno zaino rigonfio e con telo-tenda era un chiaro segnale di partenza per il fronte.

da “Le ali dell’Angelo”


Se pensiamo al vestiario, all’equipaggiamento, all’alimentazione di cui potevano disporre i soldati all’epoca, possiamo immaginare quale volontà, quale coraggio e determinazione avessero questi uomini non certo comuni. Sulle pareti ghiacciate e ripidissime, sugli sdruccioli di pietra instabili, sotto scariche ripetute e pericolose di pietrame e talvolta sotto il fuoco o il bombardamento nemico, essi dovevano salire portando con sé quantità imponenti di materiali indispensabili alla sopravvivenza.
Il vestiario, il vitto, il materiale per i ricoveri, le armi, le tende, i ramponi, le lanterne, i fili e le attrezzature telefoniche, le munizioni, le scorte per le lunghe permanenze in condizioni di isolamento, il combustibile, le stufette, il pentolame, i sacchi a pelo, le corde... Insomma, un vasto campionario di oggetti perché occorreva poter disporre all'esigenza di tutto ciò che favorissele chance di sopravvivenza per lunghi giorni e notti, tra tormente e bufere di violenza impressionante che si scatenano con il maltempo a quelle quote.

da: “Battaglia per la Trafojer” di Giuseppe Magrin e Giovanni Peretti.


Cadorna non aveva provveduto all’abbigliamento invernale per il fronte russo, quindi molti soldati morirono di freddo o vennero salvati grazie alle donne russe che li trovavano stremati e li portavano in salvo nelle loro case, quindi ebbe molta importanza anche la popolazione civile, la quale, visto il ritardo dei rifornimenti, portava i viveri ai soldati in trincea.

dal diario: “Il capitano tra i ghiacci “ di Arnaldo Berni.

mercoledì 7 dicembre 2016

I problemi psichici dei soldati

VEGLIA         

Un’intera nottata
buttato vicino
a un compagno
massacrato
con la sua bocca
digrignata
volta al plenilunio
con la congestione
delle sue mani
penetrata
nel mio silenzio
ho scritto
lettere piene d’amore

Non sono mai stato
tanto
attaccato alla vita.


Giuseppe Ungaretti


"Dal punto di vista psicologico l’assalto non era nemmeno il momento più terribile: consentiva di passare all’azione, si poteva perfino sperare di riuscire a nascondersi e far perdere le proprie tracce, o consegnarsi al nemico. L’attesa nell’immobilità della trincea, invece, sotto l’incubo di una ripresa delle operazioni belliche, tormentati dalla sete, dagli insetti, dalla pioggia e circondati dai cadaveri era un patimento intollerabile."


"L’ultima speranza per tornare a casa a volte era farlo da feriti. Ci si iniziò a sparare intenzionalmente ad una mano, ad un piede oppure ferirsi un occhio o un orecchio spesso con conseguenze mortali. Simulavano anche disturbi mentali per poter tornare a casa, anche se in realtà non erano del tutto false in quanto il contatto quotidiano con la morte, la lontananza dagli affetti, l’esasperazione della costrizione laceravano la stabilità mentale ed emotiva di questi uomini, che cominciarono a soffrire di amnesia, sordomutismo, contratture muscolari, paralisi, inebetimento e regressione all’infanzia. I nevrotici di guerra furono equiparati ai disertori, perché dominati dallo stesso desiderio di sottrarsi al servizio militare e di abbandonare la zona di guerra. In realtà, specie i disturbi estetici rivelarono come per allontanarsi dalla violenza i soldati rinunciassero a una funzione della coscienza: non parlavano più, non vedevano più, non camminavano più, pure in assenza di problemi fisici effettivi."

fonte: "focus"




"Per i combattenti la forzata rinuncia agli affetti privati è una condizione non meno alienante della minaccia continua della morte. I soldati provavano molta nostalgia per la donna amata ed una appassionata e struggente lamentazione per il distacco dalla propria bella.
Amore, fascino, allegria, calore. È quanto i ragazzi al fronte hanno dovuto lasciare alla loro spalle e che essi cercano talora di ricostruire eleggendo le cantanti e le attricette invitate a tenere spettacoli nelle zone di guerra a loro amanti più o meno ideali.
Lo psicologo e medico Agostino Gemelli riteneva che solamente l'"abbruttimento" e la spersonalizzazione prodotti dalla consuetudine con questa mostruosa esperienza potessero rendere i soldati capaci di reggere l'usura fisica e morale di una così estenuante guerra di logoramento.
Perciò, a suo giudizio, erano proprio quanti non si erano mai chiesti ragione del loro compito, o non se la chiedevano più, gli elementi su cui i comandi militari potevano fare maggior affidamento.
"Gli atti di valore, sono compiuti più di frequente da quei soldati che, venuti dalle campagne, rozzi, ignoranti, passivi, hanno subito tutta intera, e per parecchi mesi, l'influenza della vita militare, senza ribellione, senza resistenza."
In realtà, furono piuttosto il senso del dovere e lo spirito di corpo ad assicurare ai soldati l'energia necessaria per superare anche i momenti più drammatici."

fonte: "La Grande Guerra" di Nicola Caracciolo

Le condizioni fisiche dei soldati

"Non ci sono domeniche o festività, in guerra è sempre giorno feriale.
Bisogna muoversi anche a gennaio dopo una grande nevicata, perché chi sta fermo troppo a lungo non sopravvive all’inverno. Per tirare avanti bisogna trasportare la legna a spalle nei ricoveri, spalare la neve giorno e notte, improvvisarsi minatori per sparire dentro la montagna.
La Guerra Bianca è veramente un doppio lavoro: da una parte si costruiscono strade, teleferiche, dormitori, cucine, camminamenti, gallerie e linee telefoniche, dall’altra parte si distruggono le identiche opere sul fronte opposto.
La cifra di tutto è l’incessante ed estenuante fatica degli uomini al fronte. Prima dell’angoscia, prima dell’odio, anche prima della nostalgia viene la fatica, e bisogna vederla per rimanerne stupiti. Le fatiche che fanno i nostri alpini non le saprebbe fare nessun altro."

fonte: "Il fuoco e il gelo" di Enrico Camanni

 


"A quelle quote la rarefazione dell’ossigeno impone sforzi molto maggiori del normale, anche solo per procedere in piano. Inoltre, l’irradiazione solare produce ustioni e oftalmie dalle quali bisogna proteggersi con aiuto di occhiali da neve."


"Era un inverno senza fine, assillato dalla neve, a volte da violenti temporali con fulmini e saette che correvano lungo i fili delle teleferiche o del telefono fino all’interno delle baracche e negli alloggi spesso sporchi e primitivi, tra i giacigli di paglia infestati dai pidocchi e da odori insopportabili."


"La vita dei soldati era ridotta ai bisogni primari, senza possibilità di lavarsi, di curare il proprio corpo, di liberarsi dal condizionamento di operazioni indispensabili alla sopravvivenza."


"Afflitti da malattie, freddo, carenza di igiene, malnutrizione, parassiti, solo gli animi più sensibili potevano cogliere certi aspetti di quella vita: alcuni ufficiali che disponevano di cultura e contatti col mondo letterario, poetico e giornalistico e che accennavano nei propri memoriali a sensazioni o a pensieri elevati, durante momenti di relativo riposo o di licenza."

fonte: “Battaglia per la Trafojer” di Giuseppe Magrin e Giovanni Peretti.






“In trincea i ritmi di vita erano capovolti: all'immobilità diurna si contrapponeva una febbrile attività notturna. Protetti dal buio della notte si mangiava un rancio avvizzito e freddo, a volte addirittura ghiacciato, e si lavorava alle corvè. Si piantavano picchetti, si scioglievano matasse di filo spinato, si scavavano trincee, si trasportavano casse di munizioni e di approvvigionamenti, si seppellivano i morti. Oppure si partecipava a pericolose missioni notturne nella terra di nessuno per aprire varchi nei reticolati, catturare prigionieri Oppure si partecipava a pericolose missioni notturne nella terra di nessuno per aprire varchi nei reticolati, catturare prigionieri o raccogliere informazioni sui nemici. Di giorno, invece, si stava pigiati uno sull’altro, infreddoliti, immersi nel fango, tormentati dai pidocchi: le condizioni igieniche erano terribili e l’aria irrespirabile, mista come era all’odore di terra umida e polvere da sparo, di sangue e di vomito, di sigarette e sudore, di urina ed escrementi, di lubrificanti per le armi e cadaveri in putrefazione. Per alleviare il problema dei pidocchi e degli altri parassiti che infestavano corpo e divise si ricorreva allo spulcia mento reciproco, che diventava così un’occasione di fraternizzazione. (circa il 49% proveniva dal Nord, il 23% dal Centro e il 17% dal Sud e l’11% dalle Isole)“


"Infine, se vi rimane ancora un po’ d immaginazione, provate a vedervi il riposo dei sopravvissuti, tra cadaveri, topi e fango, o le prime medicazioni ai feriti dilaniati o mutilati dalle esplosioni, che potevano solo sperare di sopravvivere abbastanza per essere smistati agli ospedali da campo nelle retrovie.”

fonte: "focus"




"I bisogni fisiologici più elementari vengono raramente soddisfatti, mentre gli sforzi fisici richiesti agli uomini, anche al di fuori delle fasi di combattimento sono intensi.
Lo sfasamento dei ritmi biologici provocato dall'inversione dei ritmi sonno-veglia e l'impossibilità di godere di una regolare alternanza tra cicli di attività e di riposo aggravano ulteriormente l'affaticamento. Soltanto i rari periodi di riposo prolungato nelle retrovie permettono un recupero reale.
Il fetore pestilenziale causato dalla presenza di deiezioni umane e dai fenomeni chimici provocati dalla decomposizione dei corpi insepolti possono spiegare questi casi di anoressia temporanea, anche se la sete è ciò di cui i soldati si lamentavano maggiormente.
La vita al fronte impedisce appunto all'organismo di vivere secondo una routine, riorganizzando 
quell'automatismo di gesti e percezioni che non permette di pensare al corpo."
Da "La Prima Guerra Mondiale" di Antonio Gibelli

fonte "La Prima Guerra Mondiale" di Antonio Gibelli